a cura Dr. M. De Iudicibus

Hannah Arendt in “LA CONDIZIONE UMANA”, sostiene che l’imprevedibilità dell’agire nasce dalle “tenebre del cuore umano”, dall’inaffidabilità di ciascuno individuo che mai può garantire oggi ciò che diverrà domani, dall’impossibilità di prevedere le conseguenze di un’azione all’interno di una comunità di eguali in cui tutti hanno la stessa capacità e libertà di agire. Quindi la gioia dell’essere con l’altro nella vita quotidiana, la realtà che si fonda sull’intersoggettività comportano il rischio dell’imprevedibile e quindi anche del tradimento.

In una teoria dell’agire sociale come quella di Arendt, basata sull’intersoggettività, ciascuno individuo agisce sempre ed esclusivamente attraverso la relazione e in relazione all’agire degli
altri. Questo significa che nessuno è mai soltanto colui che agisce (doer), ma sempre anche colui sul quale si riflettono la azioni altrui, inevitabilmente gli esseri umani sono legati gli uni agli altri, nessuna azione nasce nell’isolamento senza alcun effetto sugli altri. Il tradimento si inscrive dunque fra quegli eventi che, per quanto facciano parte dell’esperienza comune, non sono accettati come eventi routinari, bensì come avvenimenti rari e da scongiurare. Tutti confidiamo nel fatto che ci sia più lealtà che tradimento, poiché sarebbe impossibile vivere con la certezza del tradimento, ci si abitua a considerarlo come evento che può verificarsi, ma che può anche essere scongiurato. Il tradimento in quanto rottura dell’ordine simbolico e minaccia di ogni forma dell’essere insieme, è equiparato nella nostra mente a un evento di morte e come la morte è continuamente esorcizzato. Come s’impara a convivere con l’idea di morte, s’impara a convivere con l’idea del tradimento e come nel nostro agire quotidiano non si è paralizzati dall’idea della morte, così si continua a vivere fidando nella lealtà e allontanamento l’idea del tradimento. Nessun altro oggetto può di sua iniziativa rivelarsi o nascondersi noi come fa l’uomo, perché nessun’altro oggetto modifica il suo comportamento riguardo alla possibilità di essere conosciuto. Il mescolarsi di quanto si sa e quanto non si sa dell’altro, il fatto che “ciò che l’uno e l’altro sanno è sempre intrecciato con quello che soltanto l’uno sa e l’altro no”, comporta la consapevolezza dell’impossibilità di assoluta trasparenza, non solo dell’altro, ma anche di sé stesso nei confronti dell’altro. Questa condizione di incertezza rafforza l’ambivalenza dell’interazione che oscilla sempre tra fiducia e sfiducia, tra possibili comportamenti leali e possibili tradimenti. La compresenza in ognuno di molteplici parti, non necessariamente in relazione tra loro attraverso un processo coerente e trasparente, fa si che il nostro apparato psichico funzioni in modo polilogico, non solo in situazioni patologiche estreme, ma anche nella quotidianità delle persone “normali”. L’impossibilità della trasparenza e della coerenza esiste dentro ciascuno, non è necessario ricorrere alla patologia per riferirsi una sempre più difficile integrazione della personalità. È la stessa complessità individuale e intersoggettività a far sì che nessuno potrà mai dirsi immune una volta per tutte dal rischio di tradire o essere tradito.

Una volta che il tradimento è avvenuto, tutto sembra chiaro e semplice e la personalità complessa di chi ha tradito viene reinterpretata e spiegata in base al marchio del tradimento, come se tale definizione potesse racchiudere tutto l’individuo. Alla domanda: Perché hai tradito? Non c’è una risposta che possa essere esaustiva? Non c’è una risposta che possa essere esaustiva, se non l’invito ad affacciarsi sulla complessità e ambivalenza dell’essere umano. Perché lo hai fatto? L’esistenza dell’altro e l’incontro con l’altro portano con sé la possibilità di tradimento, non sempre come
atto voluto o calcolato, ma come eventualità di defezione, sottrazione, incomprensione e imprevedibilità. Nulla ci garantisce la comprensione dell’altro, troppe volte data per scontata, forse solo l’incappare in un malinteso ci da una chance d’intravedere l’altro nella sua inconoscibilità e diversità. Il malinteso ha a che fare con l’incontro, è il manifestarsi del nonostante nell’apparente normalità quotidiana, ci ricorda la struttura profonda che presiede al nostro desiderio di incontro. L’incontro è qualcosa di improvviso, un apparire dell’altro nella sua inaspettatezza, nella sorpresa, nell’ inconciliabilità del suo essere come non me lo aspetto e come non me lo posso inventare. Anche il tradimento, che spesso nasce da malintesi, è il manifestarsi dell’imprevisto, richiama improvvisamente alla coscienza che l’altro esiste non solo in relazione a noi, ma anche in relazione a se stesso e a tanti altri, spesso sconosciuti, il tradimento impone brutalmente la presenza dell’altro nel suo essere diverso. È necessario dunque tradire per
affermare la propria alterità? È necessario essere traditi per riconoscere l’altrui alterità? No, ma aver coscienza che esiste una possibilità di scarto, di presa di distanza, di errore, può aiutare non a prepararsi a essere traditi o a tradire, ma ad accettare se stessi e gli altri come esseri incompiuti, complessi, non esauribili da alcuna definizione. Il tradimento da scacco matto a tutto ciò che si supponevo di sapere, ma è anche una riattivazione della conoscenza che si risveglia di fronte a ciò che appare inequivocabilmente ignoto, inafferrabile e imprevedibile. Nel tradimento c’è sempre un fluire, un accadere che va dall’uno all’altro, c’è uno spazio intermedio, mai ben definito, in cui l’agire dell’uno s’incontra con l’agire dell’altro. Si tratta di uno spazio condiviso fatto da di fiducia, aspettative, ma anche di ambiguità e complicità in cui l’uno proietta immagini e desideri sull’altro e viceversa, in cui ambedue i soggetti collaborano attivamente alla formazione e alla continuazione dell’ interazione, ma ne danno interpretazioni e le attribuiscono significati non necessariamente concordanti. Vogliamo e possiamo essere con l’altro contemporaneamente leali e traditori, soddisfare il nostro essere sociale e il nostro essere per sé, del resto non si può ricondurre ogni tradimento all’essere per sé e ogni atto di lealtà al nostro essere sociale. Per esempio, atteggiamenti e comportamenti leali possono essere ricondotti al bisogno di soddisfare l’immagine di sé come leale e degna di fiducia, per realizzare l’essere per sé ugualmente si può tradire non per soddisfare il proprio essere per sé, ma per soddisfare una richiesta del gruppo, della comunità o società di appartenenza.

I tradimenti derivanti dai conflitti di lealtà ne sono un esempio: si tradisce il miglior amico per non tradire il proprio paese, si tradisce la propria famiglia per non tradire il patto stabilito con il proprio gruppo di appartenenza. Nuove fedeltà e nuove appartenenze, spesso comportano l’abbandono di vecchi legami, compresi quelli più forti, quali quelli fra madre e figlia. La volontà di realizzare il proprio essere sociale, può condurre a tradimenti molto crudeli, il mondo affettivo può apparire come una trappola, una prigione che ci impedisce di realizzarsi e ci costringe nel nostro piccolo mondo. Si può tradire per soddisfare il proprio essere per sé attraverso la realizzazione del proprio essere sociale, quindi tradire no può essere ricondotto solo al soddisfacimento della parte egoistica del sé. Ma poiché staccarsi dal mondo degli affetti e legami primari è così doloroso, diventano necessari gesti, azioni e parole distruttive, dimostrazioni simboliche della rottura e del passaggio da un’appartenenza all’altra. Tradire se stessi può significare il tradimento della propria identità e dell’immagine di noi che ci siamo costruiti liberamente, ma necessariamente insieme agli altri e non in solitudine. Si può scegliere di tradire o meno se stessi anche per non tradire l’immagine che gli altri hanno di noi, immagine che abbiamo più o meno consapevolmente contribuito a costruire. Anche il non tradimento o il tradimento del sé è legato al tipo di interazioni, di relazioni che si hanno con gli altri, a quanto vogliamo confermare o distruggere non solo delle aspettative che gli altri hanno su di noi, ma anche dell’immagine che hanno di noi,
quindi anche il tradimento del sé scaturisce dall’intersoggettività.