(Prima parte)

a cura di Dr. M. De Iudicibus

Di cosa parliamo quando diciamo “TRADIMENTO “? TRADIRE CHI? CHE COSA? E soprattutto COME? Chi nomina e definisce il tradimento? Chi è tradito o chi tradisce?

È necessario che un tradimento sia conosciuto /riconosciuto da ambedue i soggetti del tradimento perché venga individuato come tale e quindi esista? Come varia la definizione sociale del tradimento, ovvero ciò che il senso comune intende per tradimento? Infine come variano i giudizi morali e le sanzioni sociali? Penso che rispondere alla domanda del perché si tradisce è pressoché impossibile, data la troppa ambiguità e complessità che sono presenti in ogni forma di interazione e attraversano ogni relazione e troppa ambiguità e complessità abitano in ogni individuo.

Si tradisce se stessi, i parenti, gli amici, gli amanti, la patria e si tradisce per ambizione, vendetta, leggerezza, per affermare la propria autonomia, per mille passioni e mille ragioni. Siamo abituati a pensare al tradimento come a un evento senza ombre, di cui ci illudiamo di poter sempre ricostruire le origini, ma la maggior parte dei tradimenti sembra non avere alcuna ragione apparente, alcuna spiegazione razionale, tanto per chi tradisce che per chi è tradito, né si lascia classificare in alcun ordine. Il tradimento è molto più comune e diffuso di quanto si pensi, tanto che si potrebbe sostenere che tradire sia una delle possibili forme dell’intersoggettività. Comune e al tempo stesso complesso, il tradimento non è mai riconducibile a una sola ragione e ci pone di fronte alla più grande tragedia dei rapporti umani: l’inconoscibilità dell’altro. I tradimenti piccoli o grandi che siano, spesso inspiegabili e sconvolgenti, accendono all’improvviso i riflettori sulla nostra e altrui fragilità e comportano inevitabilmente sempre definizioni e ridefinizioni della nostra identità, ponendoci di fronte alla fatidica scelta di chi vogliamo essere per noi e per gli altri. La nascita di un “NOI” porta con sé la possibilità di tradimento, di separazione o rottura, poiché in ogni forma
dell’essere e dell’agire con l’altro ci sono zone oscure, aree segrete, margini di ambiguità senza i quali relazioni e interazioni non sopravvivrebbero, ma al tempo stesso fanno si che tradimenti drammatici o banali siano sempre in agguato. Il fatto stesso che dell’altro non possiamo mai avere una conoscenza certa e a tutto campo, che ogni relazione ha bisogno per sopravvivere di discrezione e segretezza reciproche, sta a dirci che non possiamo mai e sentirci sicuri di ciò che può accadere tra noi e
l’altro. Inoltre se è vero che non solo in ogni relazione, ma che in ogni interazione vengono alla luce parti sconosciute a noi stessi, non possiamo neanche essere sicuri noi non tradiremo mai, quindi il tradimento come gesto attivo o come azione subita è sempre relazionale ed è sempre possibile. Quando entriamo in relazione con l’altro, passo necessario al costituirsi della nostra identità, mettiamo in gioco il nostro desiderio con l’altro, ma anche il desiderio di non annullarci con l’altro. Esistiamo solo con e attraverso l’altro, ma se non esistessimo anche come individualità in modo relativamente autonomo, non potremmo mai incontrare l’altro. È in questo alternarsi dell’esserci e non esserci che si stabilisce la possibilità del confronto e della relazione con l’altro, ma anche la possibilità del tradimento. L’essere per sé e l’essere con l’altro sempre strettamente intrecciati, fanno si che ogni relazione sia inevitabilmente segnata dall’ambiguità, dall’ambivalenza e dall’incertezza. Ho scelto dunque di guardare a tutti quei tradimenti che nella vita quotidiana, più che frutto di passioni travolgenti o astute macchinazioni sono il prodotto dell’essere con l’altro, delle diverse e possibili modalità in cui avviene l’incontro, a quei tradimenti che fanno parte del gioco della vita, che sono ineliminabili da ogni forma di intersoggettività. La rilevanza sociale del tradimento, la sua significatività e la sua valutazione morale cambiano a seconda degli ordigni simbolici e dei contesti di storici in cui essa avviene. Quindi alla definizione sociale del tradimento concorrono oltre al sistema generale di valori, anche le regole e gli standard che i concreti soggetti si danno. I significati del
verbo tradire sono vari: venir meno ai doveri più sacri, a un impegno morale o giuridico di fedeltà e di lealtà, rivelare o divulgare cose che si doveva tenere segreta, deludere agendo in modo contrario al l’aspettativa e alla convenienza. Ma il significato originario è quello dal latino “tradere”,ovvero “consegnare”, nel significato
di consegnare ai nemici. Il tradimento è comunque sempre un atto, un’azione che cambia l’andamento e il senso dei rapporti fra le persone, spezza vincoli e parti, delude fiducia e aspettative, rinnega appartenenze, quindi per natura è relazionale, poiché presuppone l’altro. Il tradimento comporta uno spiazzamento, uno
sconvolgimento nella geografia delle posizioni che i soggetti assumono all’interno delle relazioni, produce derive non solo emozionali, ma anche identitaria che impongono la ricomposizione delle mappe. Chi subisce un tradimento, di qualsiasi tipo esso sia, non può sfuggire al senso di vuoto che si accompagna al non saper più chi si è e dove ci si trova. “Che ci faccio qui? “ si chiede immediatamente chi scopre di essere stato tradito, proprio perché si trova all’improvviso senza una casa. Il tradimento presente distrugge tutto ciò che è stato precedentemente condiviso e la parte di sé che si è consegnata e affidata all’altro viene strappata via. I tradimenti accadono quando in un modo o nell’altro si oltrepassano i confini del “NOI”, quindi per tradire bisogna prima appartenere, così si può definire tradimento solo quell’azione che rompe una relazione fiduciaria volontaria e consapevole.

Il tradimento è un processo che avviene in uno spazio e in un tempo condiviso, costruito insieme con l’altro, sia questo un unico individuo o un insieme, gruppo amicale, famiglia, comunità, nazione. Da ciò si può intuire che il tradimento comporta sempre una fuoriuscita da un rapporto, da un insieme, ma non è tanto un’aggressione verso ’altro quanto un’azione diretta, più o meno intenzionalmente, alla distruzione di quella relazione o all’allontanamento dal rapporto. Il tradimento proprio perché relazionale, si dà quasi sempre grazie alla collaborazione attiva consapevole o inconsapevole dei soggetti, del tradito e del traditore, ma si collabora al tradimento anche quando ci si affida totalmente all’altro permettendo di essere manipolati e
sedotti. La collaborazione psicologica è una variante sottile e per nulla rara del puro e semplice tradimento, possiamo spingere gli altri a tra dirci con il nostro atteggiamento passivo o perché vogliamo che l’altro interpreti per noi e con noi il ruolo del traditore.
Si collabora al tradimento attivamente anche negando l’esistenza, ignorando consapevolmente o inconsapevolmente attraverso varie forme di autoinganno, in questi casi il tradimento non è solo sostenuto da ambedue le parti, ma diventa una modalità del rapporto stesso che si mantiene in vita proprio grazie a quel volontariato chiudere gli occhi e al fatto che all’interno della relazione si è stabilizzata una precisa
divisione dei ruoli fra tradito e traditore. Il tradimento è in agguato in ogni forma di comunicazione e ogni comunicazione ne contiene il rischio, non mi riferisco all’uso voluto di parole e discorsi fallaci concepiti per trarre l’altro in inganno, quanto alla percezione di ciò che vietava detto. Nella comunicazione c’è ambiguità data di non solo dal moltiplicarsi di significati, ma anche dalle infinite interpretazioni possibili che cambiano non solo a seconda dei soggetti coinvolti dalla comunicazione, ma anche in virtù del tipo di interazione che questi stabiliscono tra loro. Il non sapere mai sino in fondo come l’altro si pone nei nostri confronti e come noi ci poniamo ne suoi, il “non sapere la relazione” produce disturbi, interferenze, inferenza scorrette all’interno di ogni comunicazione e dà luogo a malintesi. In questa inconsapevolezza dell’altro è di sé con l’altro s’insinua non solo il malinteso, ma la possibilità di tradimento, interpretabile come un venire meno alle aspettative e della fiducia riposte nella comunicazione.

Si può parlare di tradimento se chi è stato tradito non ne verrà mai a conoscenza? Certamente no, se il tradimento si basa solo nella consapevolezza, come avverte Shakespeare attraverso le parole di Otello: Chi è derubato senza sapere che cosa gli rubano è come se non fosse derubato affatto. Ma se si guarda il tradire come a una modalità di relazione, non si potrà negare che, anche se ne è a conoscenza uno solo dei soggetti, il tradimento cambiando comunque i rapporti e gli individui. Il tradimento è luogo di asimmetria: l’asimmetria fra le nostre aspettative e la realtà, fra l’immagine che abbiamo dell’altro, fra la nostra sensibilità e la conoscenza che ha di noi l’altro, fra la nostra lettura dei gesti e parole e ciò che, invece quei gesti e quelle parole intendevano comunicare, fra chi muta e chi non vuole cambiare, fra attenzione e disattenzione. Ma questa reciprocità è annullata dall’asimmetria della percezione del tradimento, dall’asimmetria fra velocità e velocità del mutamento dell’uno e la lentezza della messa a focolare sul cambiamento da parte dell’altro. Il tradimento è asincrono, i tempi on sono mai si cronici, infatti per chi sa di tradire, il tempo appare lunghissimo e spesso lo accelera di proposito lasciando tracce intenzionalmente per essere scoperti e porre un limite a un tempo che sembra non passare mai, per chi scopre di essere tradito, invece tutto si consuma in un attimo.

Nella letteratura e nella storia, da Giuda in poi, non esistono figure positive di traditori o tradimenti che non
siano riconducibili alla cattiveria o a qualche perversione. La stessa psicoanalisi tende a trattare il tradimento come una patologia, avvalorando tra l’altro l’idea sempre più diffusa nel senso comune che esistano personalità più di altre portate di tradire. Il tradimento deriverebbe da eventi della storia personale, da un difetto di socializzazione, sarebbe il sintomo di una personalità disturbata e in quanto sintomo-disturbo, può essere curato, allontanato, evitato. Paradossalmente la psicoanalisi che nasce come scienza dell’ambivalenza, dell’indicibile che un secolo fa ha infranto il mito di una coscienza trasparente a se stessa, dinanzi al tradimento si rifugia dietro una patologia. Inoltre trattato come sintomo di una personalità disturbata o sofferente, il tradimento si riduce al gesto, alla scelta di un singolo e non riguarda più la dimensione relazionale. IL tradimento viene così negato come prodotto consapevole o inconsapevole di rapporti relazioni, interazioni. Fra le esperienze intersoggettive, il tradimento è certamente fra la più cariche di emozioni, solo l’amore, cui spesso fra l’altro si accompagna, comporta la stessa complessità e forza emotiva. Inoltre il tradimento è la minaccia più temibile verso l’ordine sociale, è la rottura più significativa di un ordine simbolico, perché minaccia la sopravvivenza della stessa relazione e del gruppo. Infatti l’incertezza pende il posto di ogni precedente sicurezza e tutto appare fragile, precario e illusorio, in questo senso, il tradimento è anche un’esperienza traumatica che destabilizza l’identità, perché nello stesso tempo sono messe in discussione la fiducia interpersonale e in se stessi. Inoltre il tradimento ci scopre vulnerabili, mette a nudo la nostra fragilità e la nostra dipendenza, pur nella conclamata autonomia. Confusione, smarrimento, solitudine si accompagnano all’immediata consapevolezza dell’abbandono: essere tradito vuol dire infatti innanzitutto essere abbandonati. Per quanto si possano innescare emozioni negative rivolte all’annullamento dell’altro, come l’ira, la rabbia, il disprezzo, l’odio e il risentimento che, inevitabilmente il tradimento scatena sempre anche emozioni negative verso se stessi. Essere traditi denota un’immediata perdita di autostima, ci si sente sminuito, disprezzati e persino colpevoli di avere in qualche modo commesso qualcosa per aver meritato il tradimento, si può così scivolare nella depressione e nell’autocompassione, mentre velocemente cresce l’immagine di sé come vittima, incapace di capire cosa le succede intorno e dell’altro come infido e malvagio. Si crea così un alternarsi di emozioni negative ora rivolte verso l’altro e ora verso noi stessi, in un oscillare tra desiderio di vendetta e di autoconsapevolezza. L’ira e la rabbia sono emozioni con cui si riesce in qualche modo a stabilire il rispetto di sé e a conservare la propria dignità, perché il soggetto si ridefinisce come persona in grado di non subire, ma di tenere l’interazione sotto controllo, di passare da vittima a protagonista.

Vorrei concludere questo post dando un suggerimento a chi è stato vittima di tradimento: si deve lavorare molto per riprendere il filo della propria narrazione e per superare il trauma dell’interruzione, ciò è possibile solo riconoscendo e accettando il sé tradito, senza rinnegarlo. Reagire al tradimento tradendo, rinnegando a nostra volta tutto ciò che è accaduto prima, disconoscendo sia se che l’altro, comporta una devastazione della propria identità ancora più profonda, perché comporta il tradimento di sé.